le interviste

Jack. La guerra non finisce mai, tornando a casa

Ha visto più morti di quanti ne vorrebbe ricordare. Ha scritto storie che nessuno ha letto fino in fondo. Jack è un giornalista di guerra da dieci anni. Sa che non farà questo lavoro per sempre, ma non sa nemmeno cosa altro potrebbe fare. Oggi, per qualche ragione, ha accettato di rispondere alle nostre domande.

🎤 Intervistatore: Perché sei diventato un giornalista di guerra?

🖊️ Jack: Un errore. O una condanna. Credevo che raccontare la verità servisse a qualcosa. Credevo di poter fare la differenza. Adesso so che non è così. La gente vuole solo dimenticare.

🎤 Intervistatore: E allora perché continui?

🖊️ Jack: Perché fuori da qui non esisto.

🎤 Intervistatore: Come si sopravvive alla guerra senza combatterla?

🖊️ Jack: Non si sopravvive. Si rimane vivi, che è diverso. Ti abitui a dormire poco, a mangiare quando capita, a camminare tra i morti senza guardarli troppo. E a fumare. Troppo. Alcuni bevono, io evito. Preferisco sentire la paura piuttosto che annegare in essa.

🎤 Intervistatore: Cosa ti aspetta a casa?

🖊️ Jack: Niente.

🎤 Intervistatore: Nessuno?

🖊️ Jack: Una figlia. Mai vista. Meglio così.

🎤 Intervistatore: Mai pensato di conoscerla?

🖊️ Jack: Mai pensato di illuderla.

🎤 Intervistatore: Qual è la verità più difficile da accettare?

🖊️ Jack: Che la guerra non finisce. Torni a casa, ma la senti ancora nelle ossa. Nel rumore di un petardo, in una macchina che sbanda, in un lampo nel cielo. La guerra resta dentro. Ti sporca. E non va più via.

🎤 Intervistatore: E Ditmar? Il tuo migliore amico?

🖊️ Jack: Ditmar è peggio di me. O meglio, lui finge di avere ancora speranza. Io no. Quando uno crolla, l’altro gli passa una sigaretta e gli dice di scrivere. Finché scrivi, sei vivo. O qualcosa del genere.

🎤 Intervistatore: Quando smetterai?

🖊️ Jack: Quando non avrò più niente da perdere.

🎤 Intervistatore: Se potessi dire una sola cosa a chi legge i tuoi articoli, cosa sarebbe?

🖊️ Jack: La guerra non è una storia. Non ha eroi, non ha vincitori. Ha solo morti. E gente che cerca di dimenticare.

Jack spegne la sigaretta contro il bordo del tavolo e si alza. Prende il taccuino sgualcito, lo infila nella tasca del giubbotto e annuisce. Nessuna stretta di mano, nessuna parola in più. Si allontana con passi lenti, lasciandosi alle spalle l’odore di fumo e, in lontananza, il rombo di un elicottero. L’intervista è finita.

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